venerdì 19 febbraio 2010

Un Italiano Vero

 Lo scorso 19 Gennaio è stato ricordato Bettino Craxi nel decennale della sua scomparsa. La cerimonia aveva senza meno una valenza riabilitativa.
Si è parlato di Craxi come vittima del sistema giudiziario e come esiliato.
Ma… l’allora leader del PSI non ha dichiarato di essere innocente.
Alle Camere si è giustificato con “ Così fan tutti, tutti sapevano”. Come dire: “ tutti colpevoli, nessun colpevole”.
Ma la responsabilità penale non è personale?
Riguardo all’esilio ricordiamoci che Craxi ha lasciato volontariamente l’Italia per non sottostare al giudizio dei magistrati.
Quindi, pur nel dovuto rispetto che si deve a lui come a ogni scomparso, non possiamo definirlo esule, ma LATITANTE.
Il suo amico Berlusconi  lo ha seguito nel disprezzo alla magistratura ma, ahinoi, non nel “esilio”.

Il 24 febbraio prossimo ricorre il ventennale della scomparsa di Sandro Pertini, un italiano vero.
Mi piace ricordarlo come il Presidente che con le sue qualità di Padre fondatore della Repubblica e di eroico combattente apparve subito come un Presidente diverso. Con la sua levatura morale, non attaccabile, fece della Istituzione che incarnava il simbolo dell’unità del popolo italiano e riavvicinò i cittadini allo Stato in un periodo difficile quale era quello degli  “anni di piombo”.
Egli è stato sì il Presidente dei funerali di Stato, introducendo il bacio al tricolore, ma anche il buon nonno che trepidava come tutti noi attorno al pozzo di Vermicino dove il piccolo Alfredino Rampi era caduto.
È stato altresì un appassionato tifoso, esultando come un qualsiasi supporter per la vittoria della nazionale italiana di calcio in Spagna nel 1982, quasi dimentico di avere accanto il Re Juan Carlos.
Politicamente voglio ricordare che fu lui, Sandro Pertini, a “scongelare” la figura del Presidente della Repubblica e ad iniziare ad essere di stimolo alla politica con le sue esternazioni.
A proposito, se ora fosse tra noi e in carica passerebbe tutto il suo tempo a esternare contro una politica ferma sulle leggi salva premier, sulle leggi ad personam, lui Pertini che, come ricordano i suoi biografi, partigiano e arrestato litigò con la madre che voleva chiederne la grazia!

venerdì 12 febbraio 2010

Là dove c’era l’erba ora c’è… una città

Il nostro Paese è uscito dal II Conflitto Mondiale con due gravissime ferite:
1- la popolazione divisa in due fazioni, vincitori e vinti che non sapevano o non potevano dimenticare in fretta ciò che li aveva contrapposti;
2- lo Stato distrutto sia nella sua economia che nella sua urbanistica.
La prima ferita non si è rimarginata del tutto infatti talora oggi si parla della necessità di un certo revisionismo storico. È chiaro che tutti i caduti meritano la nostra pietà ma è necessario un discrimine tra chi è morto per un’Italia libera e chi per dare nuovo ossigeno alla dittatura.
La seconda ferita richiedeva un intervento pratico, materiale e così il Governo ha cercato di sanarla con un piano casa.
Negli Anni Cinquanta infatti l’allora Ministro del Lavoro Amintore Fanfani mise a punto un piano casa con un triplice intento:
-dare un’abitazione adeguata a chi ne necessitava,
-assorbire la manodopera disoccupata.
-garantire la ripresa economica nel Dopoguerra.
Con questo intervento gestito da Ina Casa furono progettati e costruiti 300.000 alloggi di edilizia residenziale pubblica e alloggi familiari a basso reddito.
L’Architetto Gae Ponti non condivise lo stile architettonico di questa opera edilizia giudicandolo troppo monotono, eppure ad essa parteciparono architetti di valore come Mario Ridolfi, Michele Valori, Carlo Aymonimo, Franco Albini solo per citarne alcuni.

Negli Anni Sessanta l’Italia conosce il boom edilizio a seguito del boom economico degli anni 1958- 1963. Di tale periodo si notano alcuni elementi peculiari:
1-una forte immigrazione interna. Fra gli Anni Cinquanta e Sessanta circa dieci milioni di italiani si spostarono dal Mezzogiorno e dal Triveneto verso la Lombardia e il Piemonte, motori dello sviluppo economico del Paese.
2- la crescita demografica molto rapida, dovuta alle migliorate condizioni sociali ed economiche.
3- l’aumento del reddito pro capite che quasi raddoppiò contemporaneamente al migliorato livello di occupazione.
4- i bassi tassi di interesse permisero a molti di rispondere alle offerte bancarie     ( mutui edilizi, credito).
Questa crescita edilizia veloce ed inattesa portò con sé anche dei gravi squilibri. Le città industriali crebbero rapidamente: la popolazione di Torino tra il 1951 e il 1961 aumentò di una percentuale del 46%, quella di Milano nello stesso periodo crebbe del 24,1 %.
Ciò ha comportato una maggiore domanda di alloggi alla quale non sempre i Comuni hanno risposto rispettando le norme urbanistiche vigenti, di per sé già scarse.
Ai margini dei centri urbani sono sorti quartieri dormitorio, a volte baraccopoli, in quanto i rioni popolari realizzati dallo Stato non risultarono sufficienti. Naturalmente questa edilizia fai da te, scadente, senza spazi verdi e di servizio aumentò i problemi di inserimento di molte famiglie già in difficoltà nell’adattarsi ai ritmi e alla disciplina di fabbrica.
Non solo le città in questo periodo cambiarono ma fu tutto il territorio nazionale a mutare fisionomia.
I paesaggi rurali lasciarono il posto al cemento. Non vennero risparmiate le coste e i piccoli centri che si trasformarono in centri turistici balneari o montani per rispondere alle esigenze imposte dalla nuova società industriale e urbana: occorrevano seconde case, alberghi, villaggi turistici.

Negli Anni Sessanta si è costruito in genere in maniera selvaggia in mancanza di una legislazione edilizia efficiente e senza il rispetto delle norme vigenti. L’urbanistica di quegli anni apparve subito in tutta la sua emergenza tanto da richiedere una legge tampone come la n° 765 del 6 agosto 1967, detta legge ponte in quanto doveva precedere l’auspicata riforma urbanistica.
Questa legge fu proposta da Mancini con l’intento di introdurre nella normativa in vigore una serie di disposizioni all’avanguardia quali la repressione all’abusivismo, l’obbligatorietà dei piani urbanistici e gli standard edilizi.
Col trascorrere degli anni si è continuato a edificare ovunque: sulle pendici del Vesuvio, vulcano dormiente ma attivo, sui greti dei fiumi, su zone boschive fatte sparire più o meno dolosamente.
Solo in occasioni di emergenze naturali si torna a parlare di abusivismo edilizio, di cementificazione selvaggia. Ma dove erano le autorità vigilanti durante le fasi di costruzione? Forse per un pugno di voti si è chiuso un occhio concedendo un permesso edilizio impossibile, dando un tetto a chi lo richiedeva ma mettendo a rischio la sua vita. Come è possibile che nel messinese siano morte due bimbe (Gennaio scorso) per il crollo della loro casa fatiscente quando il Comune aveva da anni pronti appartamenti nuovi da assegnare? In troppe aree del nostro Paese ad una edilizia abusiva, fai da te, si associa il sonno accondiscendente delle autorità territoriali.Talora si può parlare di mala edilizia e scarsi controlli. È il caso della “Casa dello studente” dell’ Aquila, crollata non tanto per il devastante sisma dell’Aprile 2009 quanto per la mancanza di un pilastro portante.
In questo clima da far west urbanistico sotto gli occhi di tutti, Berlusconi lo scorso anno ha parlato di un suo “piano casa” per “dare a chi ha una casa e nel frattempo ha ampliato la famiglia perché i figli si sono sposati e hanno dei nipotini la possibilità di aggiungere una stanza, due stanze o dei bagni con servizi annessi alla villa esistente.” Il premier ha fatto un sondaggio per sapere quanti italiani effettivamente posseggano una villa? Anche per Berlusconi il rilancio dell’edilizia dovrebbe dare una risposta alla crisi economica creando nuovi posti di lavoro.
Posto che era già possibile ampliare la villa previo permesso di costruzione va detto che il piano berlusconiano per la casa prevede anche un ampliamento del 20% del proprio appartamento con l’autorizzazione del condominio e di una certificazione di conformità da parte di un tecnico resa dopo una perizia giurata.
Considerata la rissosità delle riunioni condominiali non penso sia facile ottenere per qualcuno l’ampliamento della propria abitazione.
Il piano prevede anche nuove costruzioni e di nuove costruzioni ce ne dovrebbero essere tante, visto che è ammessa la rottamazione degli edifici risalenti a prima del 1989 che potranno poi essere ricostruiti e incrementati del 30% se si fa ricorso a bioedilizia o a tecniche di energia rinnovabili.
Pensando allo stato della ricerca e dell’applicazione delle energie rinnovabili in Italia è probabile che possiamo evitare questi incrementi negli edifici da ricostruire.
Comunque le case risalenti a prima del 1989 sono moltissime, dal 50 al 70% e il 70% si trova nelle città che nel nostro Paese hanno in genere centri storici da salvaguardare.
Sono previsti altresì sconti fiscali se l’abitazione è destinata a prima casa dal richiedente o di un suo parente fino al terzo grado. Queste detrazioni senza meno vorrebbero agevolare le giovani coppie, gli studenti fuori sede, le famiglie a basso reddito e dovrebbero spingere i cd. “giovani bamboccioni” fuori dal caldo nido domestico.
Il premier ha definito “ straordinario” questo suo piano casa e straordinario e fattibile lo sarebbe se l’Italia non avesse paesaggi, centri storici da salvaguardare per difendere un volano della sua economia: il turismo.
Quindi dovremmo stare bene attenti a non rovinare le nostre bellezze naturali e storiche che ci rendono unici nel mondo. Dovremmo, anziché rischiare di cementificarle, promuoverle ancora e in loco potenziare i vari IAT per rendere più facile e piacevole il soggiorno del turista. Questo potenziamento non significa solo apertura continuata di più uffici, ma soprattutto significa assunzione di personale qualificato (conoscenza delle lingue, del territorio, della sua storia e delle sue strutture turistiche ).
Il piano berlusconiano inoltre sarebbe straordinario se non avessimo davanti agli occhi le conseguenze devastanti della cementificazione selvaggia degli Anni Sessanta e se di fronte a questa nuova possibilità non si levassero le voci sempre più inquiete delle associazioni ambientalistiche.
Quindi non ci resta che chiedere al nostro premier di progettare piani meno straordinari ma più concreti e attinenti alla realtà del Paese.