giovedì 7 gennaio 2010

La privatizzazione dell’acqua

Il decreto Ronchi, che prevede la liberalizzazione di servizi pubblici locali, compresa  l’acqua, approvato in via definitiva, è ormai legge a tutti gli effetti.
Ciò significa che, entro il 31. 12. 2011 tutte le aziende municipalizzate dovranno trasformarsi in società a capitale misto pubblico- privato ( in cui il privato abbia almeno  il 40% delle azioni) oppure totalmente private.
Per i relatori della legge, questa trasformazione dovrebbe produrre effetti virtuosi. Se infatti un servizio pubblico inefficiente viene dato in mano ai privati  in un mondo ideale i privati lo faranno funzionare bene, si eviteranno sprechi, la concorrenza porterà ad un miglioramento del servizio e tutto ciò andrà a vantaggio del cittadino.
Ma se lo scenario che si prefigura è così idilliaco, come mai i consumatori sono insorti al punto che Adusbef, Federconsumatori e Movimento Consumatori hanno dichiarato che “ Di fronte a questa norma inaccettabile, che vuole mettere nelle mani dei privati un bene vitale come l’acqua, le nostre associazioni ribadiscono che sono pronte ad una raccolta di firme per un referendum abrogativo”?
Forse non tutti ricordano la drammatica vicenda di Cochabamba dove nella primavera del Duemila si combattè una vera e propria guerra per l’acqua.
In questa città, la terza della Bolivia per importanza, nel 1999 si decise di privatizzare il servizio idrico, nella convinzione che i privati che l’avrebbero gestito si sarebbero adoperati per la  ristrutturazione dell’intera rete cittadina.
Mai previsione fu meno azzeccata: nel giro di alcuni mesi il prezzo dell’acqua aumentò del 300% mentre le condizioni della rete idrica non migliorarono né essa beneficiò di alcun lavoro di manutenzione.
La percentuale di popolazione che restò privata dell’accesso all’acqua salì fino al 55%.
I gestori stranieri ( la Bechel di San Francisco e l’italiana Edison) erano sempre più favoriti da questa legge e imponevano le loro disumane condizioni ad una popolazione sfinita e assetata: i poveri che non riuscivano a pagare le salatissime bollette dovevano lasciare la loro casa come garanzia.
La popolazione, esacerbata, scese in piazza e affrontò per giorni uno scontro violentissimo e dolorosissimo contro polizia ed esercito, mandati dal Governo per sedare i “rivoltosi”.
Alla fine il popolo riuscì a far valere il suo diritto ad accedere a questo bene fondamentale e l’acqua tornò ad un gestore pubblico. (crf. www.terranauta.it).
Anche in Italia non mancano esperienze negative: nel Lazio, in provincia di Latina, la rete idrica è gestita dalla società Acqua Latina, società mista a prevalente capitale pubblico.
Questo sistema di gestione ha portato a forti aumenti di prezzo senza apprezzabili corrispondenti miglioramenti del servizio.
È peraltro di alcuni giorni fa l’episodio accaduto nel comune di Cori (LT) (riportato sul sito www.puntoacapoonline.it): il 16 Ottobre, a seguito dello scoppio di una tubatura, è stato interrotto il flusso di acqua potabile in alcune zone della città. Ebbene, nonostante la situazione di emergenza che si era verificata, l’Ufficio Tecnico del Comune , dopo due solleciti ad Acqua Latina, per altre due volte ha dovuto chiedere chiarimenti all’Ato 4, controllore di Acqua Latina spa. sul motivo per il quale la società gerente  del servizio idrico fosse in sostanza venuta meno ai suoi doveri contrattuali di tempestività dell’informazione e immediato servizio sostitutivo con autobotti.
Queste vicende devono farci riflettere sulla reale opportunità di trasferire la gestione di un bene pubblico irrinunciabile come l’acqua ai privati.
Non si può inoltre non considerare il rischio, sempre concreto, di infiltrazioni malavitose tra  gestori privati.
L’acqua non è un bene assoggettabile ai capricci e alle storture del mercato, ma è un diritto irrinunciabile per tutti gli uomini e le donne del pianeta.

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